La storia della segheria nella Valle di Arbedo ha radici antiche, risalenti al Quindicesimo secolo, quando Carlo da Cremona ottenne l’autorizzazione di costruire una segheria in un bosco della zona. Questa prima attestazione, riscontrabile in una pergamena del 1478, indica chiaramente la presenza di una struttura destinata alla lavorazione del legno già in quel periodo.
Documenti successivi confermano l’esistenza della segheria, descritta anche come “una resiga” in stime comunali del 1718. La sega sfruttava l’acqua del torrente Traversagna attraverso una roggia, una pratica comune per sfruttare l’energia idrica nella lavorazione del legno.
Tuttavia, la storia della segheria è segnata da periodi di difficoltà. Nel 1856, una lettera al Municipio evidenziò problemi legati alla mancanza d’acqua, causata dalle chiuse create lungo il torrente per facilitare la fluitazione dei tronchi. Questo provocò la sospensione temporanea delle attività.
Nonostante le sfide, nel 1862 i proprietari decisero di riattivare la segheria, affidandone la gestione al Municipio, che la mantenne in funzione per diversi anni.
Nel corso degli anni, furono apportate varie modifiche alla struttura e alla gestione. Nel 1885, ad esempio, Ostini, l’affittuario, chiese di poter tagliare alberi per riparare il canale di adduzione dell’acqua. Nel 1897, la segheria fu soggetta a ulteriori lavori di modifica, con la sostituzione di alcuni componenti e l’introduzione di un nuovo tipo di sega.
La storia della segheria è anche segnata da proposte per cambiarne la destinazione. Nel 1888, la città di Bellinzona propose di acquistarla per trasformarla in una centrale idroelettrica, ma l’offerta non ebbe seguito a causa di divergenze sul prezzo e sulle condizioni.
Malgrado gli sforzi per mantenere in vita l’attività della segheria, nel corso del Novecento conobbe periodi di inattività e difficoltà finanziarie. Nel 1933, dopo anni di alti e bassi, la segheria chiuse definitivamente i battenti.
Le proposte per la costruzione di una nuova segheria nei successivi anni ’30, non furono accettate e l’opificio cadde in disuso concludendo così un capitolo importante della storia industriale della Valle di Arbedo.
1478 | La prima attestazione della presenza in loco di una segheria |
1725 | Documento che annuncia la presenza della resiga al Contado di Bellinzona |
1856 | Sospensione dell’attività |
1862 | Ripresa in esercizio |
1885 | Il tentativo di Ostini di provvedere alla riparazione della dispersione di acqua del canale |
1887 | Indetto un bando di concorso per la riparazione della sega patriziale |
1888 | La città di Bellinzona chiese al Comune di Arbedo-Castione di poter acquistare la segheria |
1989 | Introdotta nel regolamento la clausola a protezione della ruota |
1896 | Inizio delle riparazioni utili al funzionamento della sega |
1897 | Sostituzione della macchina originaria con albero a camme con una sega di tipo veneziano |
1921 | Iniziò il periodo di inattività |
1933 | Ripresa dell’attività per 3 anni |
1936-1937 | Fine dell’attività |
Il mandato assegnato all’atelier ribo+ di Cadenazzo, tramite il suo fondatore e direttore architetto Christian Rivola, è stato svolto in collaborazione con l’Ufficio dei beni culturali.
Dopo aver dedicato particolare attenzione alla comprensione della preesistenza e averla pulita dagli interventi edili realizzati ai fini di un utilizzo improprio a deposito di un artigiano, si è deciso per un recupero degli elementi originali ancora presenti, rinunciando di fatto alla ricostruzione delle attrezzature che permettevano lo svolgimento dell’attività di segheria.
Una scelta condizionata dalla modifica del tracciato del corso d’acqua che alimentava la ruota idraulica, avvenuta nel recente passato, data la riorganizzazione fondiaria dei mappali confinanti, nonché dalla realizzazione della strada comunale a monte, che di fatto ha bloccato sia il flusso in entrata che in uscita dell’acqua, che in passato azionava le attrezzature dell’edificio.
Questa decisione ha guidato lo sviluppo progettuale e realizzativo, sia in favore del recupero, sia del racconto di quegli elementi andati persi, così da permettere al visitatore di comprendere il passato grazie ad una combinazione di soluzione tecnico costruttive innovative e sostenibili.
La natura stessa dell’edificio originale ha stimolato nel valorizzare il contesto così da farlo dialogare con il suo passato e permettere una lettura dinamica dell’ieri, oggi e domani.
Un domani garantito grazie alla destinazione d’uso odierna decisa dalla Fondazione, che vede questo rinnovato manufatto, ambasciatore delle tradizioni passate e del loro impatto considerevole nel territorio odierno.
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